
MuseoCity 2020
Fondazione Luigi Rovati partecipa all’edizione di MuseoCity 2020 con un’iniziativa esclusiva sul proprio sitoweb, presentando in anteprima una Menerva etrusca: una statuetta in bronzo risalente al V secolo a.C.
L’edizione di MuseoCity 2020, inizialmente prevista per marzo ma posticipata il 31 luglio – 1 e 2 agosto 2020 a causa dell’emergenza sanitaria, è dedicata alle donne, protagoniste dell’arte e della cultura, in linea con il palinsesto culturale del Comune di Milano.
Fondazione Luigi Rovati ha scelto dunque di presentare per la prima volta un reperto delle sue collezioni che raffigura una divinità femminile etrusca: una statuetta etrusca in bronzo raffigurante la dea Menerva, una delle più importanti del culto etrusco, che viene identificata con la greca Athena e la romana Minerva, nota anche per la sua facoltà di scagliare fulmini. Secondo gli Etruschi le divinità abitavano la sfera celeste e attraverso i fenomeni e i segni osservati nel cielo, i sacerdoti etruschi interpretavano le volontà divine che controllavano ogni aspetto della vita terrena.
Menerva (Athena, Minerva)
Produzione etrusca, bronzo
V secolo a.C.
Lo splendido bronzetto raffigura una divinità femminile guerriera pronta ad attaccare, con il braccio destro sollevato a brandire una lancia e il sinistro uno scudo, oggi perduti. L’elmo possente e l’egida, il mantello di pelle fermato sul davanti da una testa di Gorgone per atterrire i nemici, consentono di riconoscere nella statuetta la raffigurazione di Menerva.
La dea è una delle più importanti del culto etrusco e viene identificata con la greca Athena. Gli autori antichi annoverano Menerva tra le divinità capaci di scagliare i fulmini definiti manubiae Minervales e testimoniano che in ogni città dovevano essere presenti luoghi di culto dedicati a Iuppiter, Iuno e Menerva (Giove, Giunone e Minerva).
Per gli Etruschi ogni aspetto della vita, pubblica e privata, era controllato dalla volontà degli dei, che si manifestava attraverso complessi segni e fenomeni naturali interpretati dai sacerdoti secondo l’Etrusca disciplina, la scienza divinatoria etrusca.
I sacerdoti potevano esaminare le viscere di animali sacrificati oppure usare la dottrina dei fulmini per leggere la volta celeste, idealmente attraversata da due rette perpendicolari che dividevano lo spazio in quattro parti principali, ulteriormente suddivise a formare sedici settori. Ogni settore era abitato da una o più divinità e questo schema proiettato sulla terra era utilizzato per organizzare la vita quotidiana.
Fondazione Luigi Rovati partecipa all’edizione di MuseoCity 2020 con un’iniziativa esclusiva sul proprio sitoweb, presentando in anteprima una Menerva etrusca: una statuetta in bronzo risalente al V secolo a.C.
Sotto il cielo degli Etruschi
Gli Etruschi sono stati definiti il popolo più religioso dell’antichità. Il loro sistema cosmico prevedeva la partizione della volta celeste in sedici regioni ed era collegato all’ars fulguratoria, la dottrina dei fulmini.
La volta celeste era suddivisa da due rette che partivano dai punti cardinali e si incrociavano al centro creando quattro settori principali: la pars àntica (parte anteriore) era a sud e la pars postica (parte posteriore) a nord, a ovest si collocava la pars hostilis e a est la pars familiaris. I quattro quadranti erano a loro volta suddivisi in quattro caselle ognuna dedicata a una divinità: quelle propizie si collocavano a nord-est, – qui trovavano posto gli dei più importanti Tinia e Uni – mentre le porzioni a nord-ovest erano occupate dalle divinità infernali e dell’oltretomba; a sud-ovest trovavano invece posto le potenze soprannaturali terresti e nel lato opposto quelle marine e solari.
Questa suddivisione si rifletteva sulla terra e utilizzando questo schema i sacerdoti etruschi interpretavano il volere divino attraverso l’osservazione dei fulmini, delle meteore o di altri prodigi. A seconda della direzione in cui i fenomeni comparivano nel cielo, venivano riferiti agli dei che risiedevano in quella specifica sezione. Allo stesso modo lo schema veniva applicato alle manifestazioni della vita sulla terra e così gli aruspici, attraverso l’osservazione del fegato di un animale, considerato sede della vita, predicevano e interpretavano il volere divino, al quale gli uomini erano totalmente assoggettati. Gli Etruschi infatti seguivano rigide regole di comportamento per non recare oltraggio alle divinità, alle quali venivano offerti riti propiziatori e sacrifici per richiedere una grazia oppure tentare di mutare il corso del destino. Di fronte alle decisioni divine non poteva esserci alcuna opposizione. I segni inviati dagli dèi erano ritenuti così cruciali che la caduta di un fulmine in un determinato punto determinava la sacralità di quel luogo che veniva monumentalizzato anche attraverso casse in pietra. Delle rigorose pratiche religiose etrusche rimane solo il ricordo nella testimonianza di Cicerone (I secolo a.C.) che elenca gli strumenti per l’interpretazione del divino: i Libri fulgurales per la dottrina dei fulmini (ars fulguratoria), i Libri haruspicini per la dottrina del fegato (ars haruspicina) e i Libri rituales, che comprendevano i Libri ostentaria (elenchi dei prodigi), i Libri fatales (teorie cosmologiche) e i Libri acheruntici (teorie magico-religiose).